Destino manifesto: ovvero perché gli Stati Uniti si sentono i padroni del mondo? | I Domandony



Qualche giorno fa il Corriere della Sera faceva notare come il dittatore leader cinese Xi Jinping in questa situazione d’emergenza si stia comportando da guida del mondo, togliendo quindi agli Stati Uniti un titolo che ormai da tempo sembra detenere. Sorvolando per il momento sulle questioni meramente politiche che potete approfondire con il link qua sopra, su che basi gli USA si sono arrogati questo diritto per quasi un secolo? Cerchiamo di capirlo con la filosofia politica del destino manifesto.

Già in un altro articolo abbiamo parlato della cosiddetta global policeman, un termine usato per descrivere il comportamento adottato da varie potenze attraverso i secoli per imporre la propria visione sul mondo. Un concetto che però va oltre la semplice potenza egemonica dovuta ai soldi, alla posizione geografica e di sviluppo o alla potenza bellica è quello che ha caratterizzato il pensiero e l’azione statunitense fin dal 19esimo secolo. Negli anni ’40 dell’800 i sostenitori del presidente Andrew Jackson hanno cominciato a sbandierare il concetto di destino manifesto in riferimento all’annessione degli stati occidentali agli Stati Uniti, che allora erano ancora in formazione. Il giornalista John L. O’Sullivan scrisse infatti che fosse destino manifesto dell’America quello di diffondersi lungo l’intero continente e ciò lo disse per corroborare il suo incitamento ad annettere lo stato del Texas. Il sottotesto di questo messaggio nascondeva la fervida convinzione che dio avesse dato una missione al paese cioè quella di diffondere il “grande esperimento di libertà” – parole sue - che era la democrazia repubblicana. Pertanto, il destino manifesto non era altro che una legge suprema, un ideale morale. Ad onor di cronaca, il giornalista non parlava di annettere i territori con la forza e infatti disapprovò la guerra messicano-statunitense del 1846; quello che egli intendeva era invece un riconoscimento da parte degli altri territori di una superiorità tale che la ricerca di annessione agli USA fosse spontanea.

Non tutti erano però d’accordo. Fin da subito l’idea, che non era una novità nella società dell’America del nord ma assunse un’etichetta solo con O’Sullivan, ricevette varie critiche e venne tacciata come sciovinista (nazionalismo che prevede una negazione dei valori degli altri popoli) e gingoista (patriottismo estremista; su questi due termini prima o poi ci torneremo).

Come appena detto, l’idea del destino manifesto, benché senza questo nome, era già nell’aria fin dalla guerra anglo-americana del 1812 combattuta per difendere i diritti commerciali degli USA danneggiati dall’azione britannica, e vi rimase almeno fino al 1860 cioè con la fine della guerra civile; gli storici ne denotano i caratteri ancora nel celebre discorso di Gettysburg pronunciato nel ’63 da Lincoln che vedeva negli ideali degli USA l’unica via per sopravvivere come nazione. Proprio per questo il periodo appena descritto venne denominato “epoca del destino manifesto”. Successivamente il concetto continuò ad apparire in vari contesti, durante le elezioni del ’92 e del ’96, durante l’annessione delle Hawaii nel ’98 e poi anche durante la conquista delle Filippine. Il fatto che le Filippine fossero state conquistate come colonia e non come stato vero e proprio è determinante: infatti l’idea di destino manifesto prevedeva intrinsecamente una superiorità morale degli USA e quindi riconosceva che alcuni popoli fossero incivili e avessero dunque bisogno di una guida che li migliorasse con i valori cristiani e democratici.

Con l’arrivo del ‘900 il presidente Roosevelt rifiutò della dottrina il concetto di espansione e conquista, ma per egli assunse sempre maggior valore l’idea di un paese alla guida della democrazia mondiale, nonché del concetto di polizia del mondo che abbiamo citato all’inizio. Ufficialmente finirebbe qui il contesto in cui si può parlare propriamente di destino manifesto, ma è evidente che tale idea sia stata portata avanti durante tutto il ventesimo secolo e in parte in questo ventunesimo. La seconda guerra mondiale ne è sicuramente un esempio lampante in quanto, senza ulteriori azioni violente, gli USA riuscirono ad influenzare i destini dei popoli europei grazie a sovvenzioni di carattere economico e di tipo comunicativo-propagandistico. La stessa cultura pop, per certi versi, ha portato avanti un’idea di Stati Uniti non sempre affine alla realtà, un mondo ovattato di benessere e felicità.

Ma perché ne parliamo? Oltre alla pura informazione storica, conoscere questa idea oggi ci serve a non accogliere a braccia aperte una narrazione che arriva da oriente, per giunta da un paese che nemmeno troppo velatamente è una dittatura basata sulla censura e sul controllo. Non a caso la narrazione cinese della crisi del Covid, che è partita da lì ma poteva benissimo accadere altrove, si sta lentamente spostando dall’idea di un paese che ha fatto finta di nulla sottovalutando la situazione fino a creare una pandemia (ed è questa la colpa),  verso quella di un paese che sta aiutando il resto del mondo ad uscirne.


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