Il panettone: storia e leggende di un dolce milanese | I Domandony
Cominciamo con le solite quattro
storielle sulle origini, a dirla tutta poco probabili e sicuramente poco
provabili.
La prima, e forse la meno
fantasiosa, vede uno sguattero chiamato Toni salvare la faccia al proprio
principale durante un’importante cena alla corte di Ludovico il Moro, signore di Milano. Il cuoco,
infatti, avrebbe bruciato il dolce da portare in tavola ma fortunatamente
l’intraprendente Toni aveva elaborato una ricetta per sé grazie agli scarti
trovati in cucina; quando infine la propose al cuoco e quindi ai commensali, lo
stupore fu tale che la notizia e la ricetta si diffusero fino a diventare un
dolce tradizionale.
Un altro racconto, stavolta più
realistico, vedrebbe il pasticcere Antonio Toni (complimenti ai genitori per la
fantasia) che avrebbe pensato al “panis quidam acinis uvae confectus" e
cioè al pane confezionato con gli acini d'uva, per festeggiare il potere
conferito al Moro dall’imperatore Massimiliano nel 1495. Anche stavolta la
ricetta piacque e il Duca decise di divulgarla a tutti i panettieri di Milano.
Ennesima storia = ennesimo Toni.
Stavolta il nostro eroe è un garzone stanchissimo per tutto il gran lavoro in
preparazione del natale. Durante la corsa forsennata sul suo bancone, oltre
agli ingredienti per il semplice pane, v’erano anche zucchero, uova e uvetta.
Nella stanchezza più totale, Toni li fece cadere e stremato cominciò a
mischiare tutto nel disperato tentativo di rimediare al suo madornale errore
(ndr: consideriamo che lo zucchero era ancora parecchio costoso). Contro ogni
aspettativa, il risultato fu molto interessante e il padrone del forno fu ben
felice di vendere quel nuovo pane dolce.
Ed infine c’è una leggenda
romanticheggiante. I due protagonisti sono gli innamorati Ugo, falconiere di
Ludovico il Moro, e Adalgisa, figlia e aiutante del panettiere Toni. I due erano
soliti incontrarsi di notte sgattaiolando da casa ma, purtroppo, gli affari al
forno non erano un granché tanto che Adalgisa doveva spesso saltare i loschi raduni
per restare col padre nel tentativo di trovare una soluzione; innamorato perso
e deciso ad incontrare la sua amata, Ugo si propose come garzone così da
poterle stare vicino. Le cose anche con la new entry non migliorarono e Ugo
pensò bene di rubare i falchi del Duca rivendendoli poi per comprare ingredienti
nuovi con cui sperimentare in laboratorio. Man mano, uccello dopo uccello, Ugo
aggiungeva nuovi elementi alla ricetta fino ad ottenere un dolce che durante il
natale finalmente andò a ruba risollevando l’attività di Toni il fornaio. I due
giovani, infine, si sposarono e vissero felici e contenti, etc etc.
Bene, cosa possiamo dedurre da
queste quattro storielle?
Per prima cosa, l’elemento comune
è la presenza di qualcuno che si chiama “Toni” e questo nome serve a
giustificare il termine “panettone”, cioè “pane del Toni”. Un altro elemento
che può essere distinto, se si conosce un po’ la storia della pasticceria, è la
costante del pane. Infatti, il panettone originale non ha granché da spartire
con quello che conosciamo oggi poiché era basso e compatto, proprio come del
pane qualunque. Il lievito verrà aggiunto soltanto nel 1800 mentre la forma
caratteristica a fungo arriverà ancora più avanti con Angelo Motta (proprio
quello dell’omonima azienda ancora esistente) che utilizzò per primo uno stampo
di carta in cui far lievitare verticalmente il dolce meneghino.
E parlando di pane, non possiamo
mica far finta che non ci sia un fondo di verità dopotutto. Nel milanese,
infatti, almeno dall’undicesimo secolo si festeggia il “rito del ciocco” che prevede
la spartizione di tre grandi pani durante le feste natalizie. In pratica il
pater familias divideva questi pani con i presenti e ne conserva una fetta per
il natale successivo. Il tutto sarebbe una rievocazione simbolica dell’ultima
cena di Gesù ed è un’allegoria della sua stessa vita. Dunque, secondo una
ricostruzione più storica che leggendaria, col tempo questi tre semplici pani
qualsiasi si arricchirono di elementi come burro, uvetta, zucchero e tutto
quello che oggi possiamo immaginare. Nel concreto, il panettone moderno non ha
più di 150 anni e se tornassimo indietro anche solo al 1700 probabilmente ci
troveremmo davanti a qualcosa di vagamente simile all’odierno panettone ligure.
Altro elemento tra mito e realtÃ
è quel nome così simpatico. Se nelle leggende si fa riferimento ad un certo
Toni, nella realtà la prima citazione al suddetto termine risale al 1606 quando
Giovanni Giacomo Como (che non è un nuovo trio comico) pubblicò il suo “Varon milanes
de la lengua de Milan e prissian de Milan de la parnonzia milanesa”, un
vocabolario del dialetto milanese. Qui compare la voce “Panaton de danadà ” e
viene detto quanto segue:
“pangrosso qual si suole fare il
giorno di Natale, per metafora un inetto infingardo, da poco”.
In altre parole, “panettone”
sarebbe solo un accrescitivo della parola “pane”, senza particolari voli
pindarici e fantasiosi, l’equivalente appunto di “pangrosso”.
Bell'articolo interessante
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