Critical mass: come si superano le tradizioni una pedalata alla volta | I Domandony
In praticamente ogni epoca il concetto
di “tradizione” ha avuto un valore decisamente centrale nel motore invisibile
che ci permette di decidere in che direzione andare. Non è infatti un caso che
la politica e il marketing sfruttino la tradizione per poter lanciare meglio i
propri messaggi o i propri prodotti. Evidentemente però la tradizione non è
tutto, anche perché se così fosse oggi avremmo la stessa mentalità e le stesse
abitudini dei nostri più antichi antenati. In altre parole, se non ci fosse un
meccanismo che permette il rinnovamento, ancora nel 2020 dovremmo ragionare
come un antico babilonese, eppure così non è. Com’è che quindi riusciamo ad
aggiornare costantemente la nostra idea di tradizione? La risposta ha a che
fare con un mucchio di gente a cui piace pedalare.
Per prima cosa dobbiamo
introdurre il concetto di massa critica. Lasciamo perdere la fisica nucleare
che l’affronta in maniera decisamente più incomprensibile della sociologia e
occupiamoci invece di quest’ultima. In poche parole, possiamo dire che la massa
critica sia quel numero non predefinito di persone che insieme e con un unico
obiettivo (ndr: questo aspetto vedremo che non è sempre necessario) riesce a
cambiare la società o il gruppo su cui agiscono. Ma ora facciamo un passo indietro.
Il termine “massa critica” legato
a questo concetto è stato ideato dal designer di biciclette George Bliss che in
un documentario sull’uso delle bici in Cina e nei Paesi Bassi fa notare come i
ciclisti da quelle parti facessero squadra negli incroci, raggruppandosi prima
di attraversare e sfruttando così il numero per farsi forza nel traffico intasato
delle metropoli. Nonostante contestualmente, siamo negli anni ’70, in Svezia si organizzassero manifestazioni con centinaia di ciclisti che invadevano le strade in un preciso momento, questa forma di protesta emerse prepotentemente soltanto nel 1992 quando il 25 settembre avvenne il primo evento riconosciuto ufficialmente. Con il nome di Commute Clot (traducibile
con “coagulo di pendolari”), 48 ciclisti attraversarono le strade trafficate dell’ora
di punta (6 del pomeriggio) di San Francisco (USA). Il nome massa critica (critical
mass) arrivò però soltanto con il secondo evento, avvenuto il 30 ottobre dello
stesso anno, proprio grazie alla visione del documentario in cui era
intervenuto Bliss.
Il fenomeno si fece notare fin da
subito e già a quel secondo incontro il numero dei ciclisti era quasi
raddoppiato raggiungendo gli 85 partecipanti. Quando dico “eventi” in realtà
sto abusando leggermente del termine poiché si tratterebbe più che altro di
appuntamenti liberi da vincoli, da organizzazioni centrali e basati sul
passaparola o sulla divulgazione orizzontale. Non esiste infatti una gerarchia verticistica
tra i ciclisti e non esistono neanche vere e proprie ragioni per darsi
appuntamento. Di base l’idea è quella di far emergere una questione come, ad
esempio, l’intenso traffico che rende pericolose le strade o l’inquinamento; nel
concreto molti partecipano semplicemente per spirito di aggregazione e senza
una motivazione morale.
Chiusa questa enorme parentesi,
possiamo finalmente arrivare all’aspetto sociologico. Ad un certo punto i sociologi
hanno deciso di rubare questo concetto e applicarlo ad altri eventi umani. Infatti,
l’idea che un gruppo di persone possa cambiare la società non è poi così
astratta e, anzi, sembra più tangibile di quello che un gruppo di ciclisti
potrebbe farci pensare. Come abbiamo detto, l’idea è che un numero
ragguardevole di individui che rema verso la medesima direzione, può convincere tutti
gli altri. Ma quale è questo numero? Secondo un recente studio pubblicato sulla
rivista Science, la massa critica deve essere pari a circa il 25% del gruppo di
riferimento. Come emerso poi dallo studio, molte sono le eccezioni: tutto
dipende dalla radicalizzazione della tradizione da rovesciare, dalle dinamiche
della società, dagli attori in causa, dalla repressione da parte delle autorità
e così via.
Giusto per fare qualche esempio concreto
e attuale, possiamo vedere in quest’ottica le battaglie portate avanti da Marco
Cappato che stanno pian piano arrivando a toccare la massa critica su temi
quali l’eutanasia o la legalizzazione delle droghe leggere. Un aspetto da non
sottovalutare è poi il significato sotteso. In una società democratica come la
nostra, la massa critica ci mette purtroppo davanti ad una costatazione
fastidiosa: se le cose non stanno cambiando come vorremmo (legalizzazione degli
stupefacenti, aborto completamente libero, dura lotta alla mafia, completa laicità
dello Stato, etc etc) allora è possibile che stiamo rappresentando una fetta
minoritaria (o molto silenziosa) della nostra comunità e che la maggioranza in
fin dei conti non ha le nostre esigenze.
Nessun commento