I burakumin giapponesi: l'estremo classismo nipponico | I Domandony


Che la società giapponese sia fortemente classista non è una grande novità per nessuno, ma immaginare che fino a qualche decennio fa una porzione di giapponesi venisse considerata non umana, è quasi assurdo. Oggi vediamo la storia dei burakumin, gli ultimi fra gli ultimi.

I burakumin sono un gruppo sociale giapponese fuori dalle caste principali, vengono cioè considerati ancora più in basso di chi sta alla base della piramide sociale. Se volessimo fare un parallelismo con il mondo occidentale, sarebbero l’equivalente dell’immaginario dello zingaro, del rom, di chi vive nelle roulotte o dello straccione qualunque. Ma ancora peggio. A livello linguistico, burakumin significa “abitanti dei villaggi” anche se in origine non indicava un gruppo stanziale. Quando ancora i samurai erano soliti muoversi durante il periodo Sengoku (1400-1600), gli antenati dei burakumin seguivano la carovana cercando di raccattare qualcosa: infatti dove c’è un esercito, molto spesso c’è cibo in abbondanza. Quando poi i guerrieri cominciarono a stabilirsi nei castelli, i burakumin si fermarono a loro volta divenendo saltimbanchi, giocolieri, accattoni, musicisti, intrattenitori e così via. Col tempo divennero anche artigiani di basso livello o agricoltori migranti e per questo presero il nome di kawata (dalle risaie costruite lungo i fiumi).

Un altro nome, stavolta dato proprio dai samurai, fu quello di hinin cioè non-umani o non-cittadini poiché spesso i burakumin erano vagabondi o ex galeotti che si occupavano di lavori molto umili come la pulizia delle strade o la guardia della città. In generale, i samurai vedevano questi gruppi come la causa dell’impoverimento di una zona, come se portassero desolazione e vergogna nei posti in cui andavano. Per via poi del sistema giuridico giapponese (ie), questo status era persino ereditario: secondo lo Ie, vigente fino alla seconda guerra mondiale, l’unità di base della vita comune non era l’individuo ma la sua famiglia e dunque tutto si trasmetteva di generazione in generazione senza via d’uscita dalla ghettizzazione.

Altro stigma che premeva sui burakumin era il sangue, ma non il loro. Secondo la cultura shintoista e buddista, chi lavorava col sangue o con la vita di altri animali era impuro. I burakumin infatti spesso si occupavano proprio della macellazione o della conciatura delle pelli, nonché della sepoltura delle persone. Per giunta, alcuni di questi lavori non erano neanche contemplati nel sistema arcaico delle quattro occupazioni (o quattro categorie di persone), un sistema originario della Cina che prevedeva la divisione degli uomini in quattro macrocategorie: gli studiosi (shi), i contadini (nong), gli artigiani (gong) e i mercanti (shang). Dunque, per dirla in maniera semplicistica: essere esclusi da queste quattro classi significava essere meno che umani. 

A livello legale qualcosa cominciò a cambiare con la fine del periodo feudale, che in Giappone avvenne nel 1869: vennero abolite le caste e si cercò di occidentalizzare l’impero con l’introduzione di nuove pratiche; tra le altre cose, nel ’71 venne eliminato il divieto di macellazione del bestiame che in teoria avrebbe dovuto favorire la figura dei burakumin, ma l’ostracismo continuò e con l’abbassamento degli standard di vita che seguì quel radicale cambiamento che stava vivendo il paese, i burakumin vennero spinti sempre di più verso i margini della società, fino a sparire nelle etamura, cioè le “cittadine ricche di sporcizia e contaminazione”. Contestualmente, l’influenza occidentale durante il periodo Taisho portò con sé anche nuove idee socialiste di stampo marxista e questo significò la nascita di una nuova classe politica che cominciò ad interessarsi non solo agli operai, ma anche a quegli ultimi fra gli ultimi. Nel 1922 si costituì allora l’Associazione nazionale dei livellatori (Suiheisha) e sui loro manifesti si leggevano frasi quali: “Burakumin di tutto il paese, unitevi!”.

Nel dopoguerra i partiti di centro e di sinistra continuarono l’opera di sensibilizzazione della comunità, soprattutto a livello locale, affinché si lavorasse per l’integrazione dei burakumin e per migliorare la loro qualità della vita. Nel ‘55 nacque poi la Lega per la liberazione dei burakumin che aveva particolare influenza sui partiti comunista e socialista; sul finire del decennio, attraverso il Partito Liberal Democratico, la Lega riuscì a stanziare fondi governativi per i burakumin, lanciò studi per capire meglio quella realtà e venne sancito definitivamente che i burakumin non fossero cittadini (o persone) di serie b.

Il burakumin mondai, il problema dell’assimilazione dei burakumin, fu un tema caldo per anni e legalmente il progetto di integrazione si concluse soltanto nel 2002 con “la totale risoluzione della questione”. O almeno, questo è quello che venne sancito politicamente. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, sebbene le discriminazioni siano calate, ancora in tempi recenti si assiste ad un trattamento ingiusto dei burakumin. Giusto per fare un esempio: sembra che circolino in maniera illegale liste di cittadini considerati burakumin che vengono utilizzate dai datori di lavoro per scegliere chi (non) assumere. Inoltre, le aree in cui risiedono spesso sono disagiate e gli abitanti non sempre possono accedere ai servizi e all’istruzione.

I burakumin giapponesi: l'estremo classismo nipponico | I Domandony I burakumin giapponesi: l'estremo classismo nipponico | I Domandony Reviewed by Antonio Emmanuello on 17:03:00 Rating: 5

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