Storia: lo sciopero del sesso come forma di protesta | I Domandony
Il radicale Pannella ci ha abituato ai suoi scioperi della fame e la sua protesta non violenta continua oggi con la disobbedienza civile di Marco Cappato. Come ci hanno insegnato loro, anche vista l'occasione del compleanno del primo, ci sono molti modi di protestare senza neanche alzare un muscolo e oggi ne vedremo uno vecchio come il mondo: lo sciopero del sesso.
Fin dagli albori della storia umana, sembra che ci sia stato un movimento di resistenza da parte del genere femminile che si opponeva con l’unico mezzo che poteva sfruttare senza l’uso della forza e della violenza: la negazione del proprio corpo. Secondo la cosiddetta teoria della female cosmetic coalitions (coalizione cosmetica delle donne), già nella preistoria le donne si facevano forza adottando dei sistemi di difesa e di interazione risoluta ma pacifica con gli uomini prepotenti, spesso per ostacolare i tentativi di stupro o sopruso. Questa teoria, secondo i suoi ideatori, sarebbe alla base dell’uso della cosmetica (in particolare delle tinture rosse) da parte delle donne che, così facendo, darebbero origine all’arte, rendendo quindi il corpo umano la prima “tela” mai utilizzata. Se tale ipotesi trovasse conferma, l’avvento della pittura simbolica si sposterebbe indietro di svariate decine di migliaia di anni rispetto a quanto ritenuto fino ad ora. È un argomento lungo e, bisogna dirlo, variopinto su cui torneremo in futuro.
Il tema dello sciopero sessuale lo possiamo trovare già a partire dalla letteratura antica; nella Grecia del quinto secolo a.C. Lisistrata si ergeva insieme alle sue compagne per fermare le guerre del Peloponneso che stavano distruggendo le poleis e le famiglie che non vedevano in casa il padre/marito da lungo tempo. La commedia si conclude con la vittoria delle donne e con una pace fra i sessi costellata di doppi sensi. Scendendo un po’ più giù, verso l’Africa precoloniale, le società del popolo Igbo avevano un organo speciale costituito da sole donne: il consiglio. Qui le signore formavano una specie di sindacato che aveva, attraverso la figura mistica di Agba Ekwe (una specie di sacerdotessa della dea Idemili), l’ultima parola nelle decisioni dell’intera comunità. Nel caso in cui gli uomini non avessero rispettato quanto deciso, Ekwe poteva ordinare uno sciopero delle donne, uno sciopero che comprendeva tutti gli obblighi sociali femminili, dal mantenimento della casa fino al sesso. Spesso, nelle dispute più aspre, le donne potevano uscire anche dalla città e abbandonare gli uomini (ma non i bambini) finché la situazione non si fosse risolta.
Un caso emblematico moderno e fruttuoso è quello che partì nel 2006 in Colombia. Nel paese la criminalità delle gang dedite alla produzione e al commercio della droga è particolarmente pressante nella vita quotidiana. Gli omicidi fra membri della malavita sono all’ordine del giorno e in quell’anno si contarono 480 morti fra gruppi rivali nell’arco di breve tempo. Per tutta risposta le fidanzate e le mogli dei suddetti criminali si coalizzarono in uno sciopero che prese il nome di “la huelga de las piernas cruzadas” (lo sciopero delle gambe incrociate); in maniera molto intelligente, le donne sfatarono il mito machista che associa le armi alla virilità sostenendo che non fosse in alcun modo eccitante detenerle e che quindi era meglio sbarazzarsene e smetterla di ammazzarsi. Entro il 2010 gli omicidi nel paese calarono del 26%. Sempre in Colombia poi, nella città di Barbacoas, nel 2011 le donne scioperarono per 112 giorni per convincere anche gli uomini a prendere posizione contro il governo che non voleva ascoltare le richieste di sistemare le strade dissestate della zona. Dopo quasi quattro mesi, il governo cedette e quell’anno stesso iniziarono i lavori.
E ancora, le donne kenyote nel 2009 usarono lo sciopero carnale per superare l’impasse fra il presidente Kibaki e il premier Raila Odinga, chiedendo il supporto anche delle mogli dei due e quello delle prostitute, promettendo di rimborsarle se si fossero astenute insieme a loro. In Liberia, anche grazie allo sciopero del sesso ma non solo, nel 2003 le donne riuscirono a porre fine ad una guerra civile durata 14 anni, conclusasi persino con l’elezione della prima donna presidente del paese.
Spesso questo strumento viene usato da paesi in cui la libertà e l’emancipazione delle donne è meno significativa rispetto ai cosiddetti paesi sviluppati, poiché rimane l’arma estrema prima della violenza che le vedrebbe probabilmente sconfitte data la predominante (o assoluta) composizione maschile della élite, intesa sia come governo ed istituzioni che come forze dell’ordine. Ma non si pensi che avvenga solo in paesi come il Togo, il Sudan del Sud o le Filippine. Nel 2008 a ridosso del Capodanno, le donne campane minacciarono gli uomini di essere pronte a scioperare se non avessero fatto in modo di impedire ai fuochi d’artificio di fare danni come negli anni precedenti. In quel caso tutto partì da una sola donna, Carolina Staiano che si dichiarò ispirata da quella Lisistrata che per la prima volta nella storia, per quanto ne sappiamo ovviamente, parlò di emarginazione femminile.
Storia: lo sciopero del sesso come forma di protesta | I Domandony
Reviewed by Antonio Emmanuello
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