Chaekgeori: l'arte coreana della natura morta e dell'illusionismo | I Domandony


In occidente lo stile pittorico definito “natura morta” ha origini antiche, probabilmente greche, ma solo nel 1600 divenne un genere autonomo e si diffuse in giro per l’Europa. Ci volle però un altro secolo prima che arrivasse anche in oriente, o meglio, prima che arrivasse a gettare le basi dell’arte coreana del chaekgeori. Ovviamente sappiamo tutti cos’è, no?

Sul finire del 1500 il Giappone aveva invaso la Corea e in appena un mese l’aveva conquistata. L’idea di prendere il paese era solo una parte dell’ambizioso piano del daimyo (traducibile con “gran signore”, è un titolo nobiliare tra i più importanti) Toyotomi Hideyoshi di soggiogare la Cina. Dopo un primo momento di confusione, i coreani riuscirono a scacciare il nemico nell’arco di sei anni (non continuativi, ci sono state più ondate ma sarebbe troppo lungo approfondire al momento). Pochi decenni più tardi, prima nel 1627 e poi nel 1636, la Corea venne nuovamente attaccata stavolta dai cinesi della dinastia Qing poiché la casata coreana dei Joseon appoggiava i Ming. La Corea, un paese decisamente più modesto dei due suoi aggressori, ne uscì socialmente ed economicamente debole e gli ci volle un po’ per riprendersi. La rinascita cominciò ad avvenire a cavallo fra ‘600 e ‘700 con Yeongjo della sopraccitata casata Joseon, ricordato come un buon re che seppe riformare il paese durante il suo lungo governo durato quasi 52 anni. Ma fu suo nipote, e non il figlio ucciso per suo stesso ordine, a portare il paese verso un vero e proprio rinascimento: Jeongjo.

Secondo gli annali, Jeongjo era un bibliofilo, amava la cultura e amava leggere. La Corea in quel periodo aveva messo da parte i vecchi dissapori stringendo accordi commerciali e diplomatici con gli Edo giapponesi e i Qing cinesi, i quali ebbero una forte influenza nel paese. Inoltre, era anche presente una discreta comunità di missionari cattolici proveniente dall’Europa che provavano ad evangelizzare l’oriente. Questi tre fattori, tra le altre cose, gettarono le basi di un nuovo stile pittorico, cioè il chaekgeori. Sfruttando la prospettiva lineare di stampo occidentale e traendo ispirazione dai duobaoge cinesi, in Corea cominciò ad emergere l’usanza di decorare le stanze con pitture raffiguranti scaffali, attrezzi e libri. Ma facciamo un passo indietro. Il duobaoge può essere visto come l’antesignano dei “wunderkammer” che si diffusero in Europa tra il 1500 e il 1700, cioè mobili, solitamente piccole credenze o scaffalature, su cui venivano riposti oggetti di pregio o di particolare interesse, e non per nulla la traduzione letterale è “scaffale dei molti tesori”.

Re Jeongjo è poi ricordato, tra le altre cose, per aver fatto costruire una grandiosa biblioteca dove accumulare e studiare testi giunti da ogni dove, premendo così facendo l’acceleratore sul rinascimento culturale che stava vivendo il suo regno. Questa premessa è importante per capire cosa significa “chaekgeori” cioè letteralmente “libri e cose” o “libri e materiali affini”. Per certi versi potremmo definire questo stile pittorico molto vicino al trompe-l'œil, quella tecnica usata per ingannare l’occhio e fargli percepire una finta profondità in una stanza altrimenti più piccola. Come i trompe-l'œil anche i dipinti chaekgeori potevano riempire l’intera parete ingannando lo spettatore con la rappresentazione di una libreria bidimensionale.

Quanto appena descritto è solo un tipo di chaekgeori, uno di tre, e prende il nome di “chaekkado” (“dipinto di libreria”), mentre gli altri due sono “l’isolato” e “gli impilati”. Il secondo tipo, l’isolato, era costituito da vari pannelli, come un trittico per intenderci, con fondo uniforme su cui venivano rappresentati sempre libri e oggetti vari. Quando invece i libri venivano dipinti in gruppi di tre o quattro volumi uno sull’altro, si può parlare di uno stile “impilato”.

Ma non solo libri e affini erano i soggetti. Abbiamo fatto cenno a generici oggetti e nello specifico spesso si trovavano vasi cinesi o altri manufatti occidentali portati dai gesuiti o dai mercanti; c’erano poi raffigurazioni simboliche di frutta e/o strumenti musicali che rappresentavano ogni sorta di significato più o meno oscuro. Nel suo insieme il chaekgeori riuscì a racchiudere più nature dentro di sé: quella dell’illusionismo, quella dell’antiquariato empirico e quella del simbolismo. E a sua volta il chaekgeori è stato per secoli, e lo è ancora oggi come fonte d’ispirazione per artisti e designer, un simbolo dell’apertura del popolo coreano verso l’esterno e della sua voglia di conoscere il mondo.

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