Quella volta che Mussolini provò a bannare la pasta dall'Italia | I Domandony
Chissà come mai i nostalgici hanno sempre sulla punta della lingua quel sospirante “eeeh, ma LVI ha fatto anche cose buone”. Forse si, probabilmente non così tanto, ma una cosa è sicura: ha scelto il paese sbagliato a cui dare lezioni di cucina! Oggi vediamo uno degli atti più atroci del fascismo, ovvero come Mussolini provò a fermare il consumo della pasta in Italia. (NB: potrebbe non essere una delle misure più gravi del ventennio).
La pasta ha una storia millenaria e non solo italiana. Sue attestazioni arrivano da tutto il macro-continente euroasiatico, ma è indubbio che da noi abbia attecchito più che altrove. Era una componente dell’alimentazione tanto importante che uno dei termini usati anticamente era “makaria” (talvolta lo si trova anche nella versione “makaronia”) e significava nientepopodimeno che “cibo beato”; da quella radice salterà poi fuori il termine ancora attuale “maccherone”, passando prima dal latino e poi nei dialetti meridionali dove ha generato il termine “ammaccari”, cioè “schiacciare, fare pressione” in riferimento proprio alla lavorazione dell’impasto. Queste sono giusto poche righe che ci fanno però capire che sono ben oltre duemila anni che la penisola si riempie la panza di spaghetti, tagliatelle e quant’altro.
Ad un certo punto del secolo scorso sale al potere Mussolini. Siamo in un arco di tempo che va dagli anni ’20 agli anni ’40 del ‘900. Il grano per la pasta arriva principalmente dal sud Italia poiché solo in poche regioni meridionali è possibile coltivare la semola necessaria. Un’altra consistente parte del grano invece veniva usata per il pane, ma in maniera contenuta rispetto alla pasta. In generale, si usava un sacco di farina di grano la cui produzione l’Italia da sola non riusciva a soddisfare e quindi bisognava comprare la materia prima dall’estero; questo però cozzava parecchio contro il progetto fascista di rendersi autonomi, cioè autarchici.
Dopo l’invasione dell’Etiopia da parte fascista, infatti la Società delle Nazioni (una specie si ONU per intenderci) aveva sanzionato economicamente l’Italia, bloccando l’importazione di armi ad esempio. Il regime dovette allora mandare un chiaro segnale, dentro e fuori dai confini. Mussolini, che era un grande comunicatore al servizio di un’ideologia nazionalista, fece allora leva su quell’orgoglio che aveva cercato di instillare con la propaganda per portare avanti questa nuova politica economica autosufficiente: tutto doveva essere prodotto internamente. Il governo cominciò a scoraggiare l’uso di alcuni prodotti e materiali, tra cui compariva appunto il grano, e nacque proprio da questa esigenza quell’insistenza per la produzione e il consumo del riso che si sviluppò in quegli anni; non per nulla parte della propaganda fascista era impegnata a mostrare un DVCE tutto intento nella bonifica di paludi e nella raccolta del riso.
Probabilmente per la prima volta nella storia, il cibo entrò nella propaganda ideologica e politica. Col passare del tempo e l’inasprirsi della situazione economico-sociale, il governo cominciò ben presto ad invitare prima a mangiare meno grano e poi meno un po’ di tutto. Dal canto suo Mussolini, che d’origine era romagnolo quindi consapevole dell’importanza della cucina e del buon cibo, fece dei suoi problemi alimentari un punto di partenza per la comunicazione politica: avendo gravi problemi di stomaco, mangiava poco e in maniera molto semplice; a differenza dell’immaginario collettivo dell’italiano medio, i suoi pasti duravano pochi minuti ed erano leggerissimi. Seppe cogliere al volo questa sua sciagura trasformandola in opportunità in modo da poter lanciare un messaggio virile e fascista ai cittadini: per essere veri italiani, non serve mangiare tanto. E a tal proposito ebbe a dire:
“ho fatto del mio organismo un motore sorvegliato e controllato che marcia con assoluta regolarità. Le mie regole dietetiche sono fisse, i miei pasti sono frugali”.
Ma che ci volete fare, siamo italiani e Mussolini lo sapeva bene dato che una delle sue più celebri citazioni è: “governare gli italiani non è difficile, è inutile”. Anche quella volta dimostrammo infatti un certo furbesco anarchismo che, nel bene ma spesso nel male, ci contraddistingue. Il poco grano che si riusciva a recuperare veniva mischiato ad altra farina e la pasta continuava a farla da padrona sulle tavole nostrane. Di fatto, negli ultimi tempi del regime, il consumo della pasta diminuì, ma non di certo grazie al fascismo; o meglio, il motivo fu sempre il fascismo, ma non per le ragioni auspicate dal regime. Mentre Mussolini & Co. portavano avanti i propri sogni imperialisti, l’Italia aveva sempre meno alleati e partner commerciali dalla propria parte, quindi sempre meno risorse per i cittadini; il risultato fu un generale calo nel consumo di pasta.
Ma “poco male”. Il boom economico postbellico riportò la pasta allo splendore che l’aveva sempre contraddistinta e divenne uno stile di vita praticamente mondiale.
Quella volta che Mussolini provò a bannare la pasta dall'Italia | I Domandony
Reviewed by Antonio Emmanuello
on
10:24:00
Rating:
Nessun commento