Il furbesco: la lingua "segreta" dei criminali italiani | I Domandony


Che siate criminali, attivisti in stile Snowden, spie sotto copertura o gente qualunque, oggi sembra che messaggiare in maniera sicura e criptata sia una delle peculiarità più richieste alle app come WhatsApp o Telegram. Ma se pensiamo che sia un’esigenza tutta nuova per proteggersi dai famigerati “poteri forti”, mi sa che dobbiamo ricrederci; oggi parliamo di come i malviventi dei secoli scorsi cercassero di comunicare senza farsi intercettare grazie alla lingua zerga, anche detta furbesco.

Oggi per “furbo” intendiamo qualcuno sgamato, capace, intuitivo e a suo modo intelligente, sia in positivo che negativo, ma l’origine del termine è molto meno gentile: arriva dal francese “fourbir” importato in Italia nel termine “forbire” che significa “ripulire”; ma dimenticatevi il secchio e la spugna e cominciate a pensare a delle tasche che vengono svuotate: il furbo è infatti colui che spoglia il prossimo di qualcosa. Da qui deriverebbe quindi il nome “furbesco” riferito a quel linguaggio parassita che in alcuni strati molto poveri della società veneta del rinascimento veniva usato per parlare in maniera criptata, senza farsi ascoltare da orecchie indiscrete. E certamente veniva anche usato dai vagabondi o da quei criminali nomadi che avrebbero quindi portato in giro il linguaggio oltre i confini della Repubblica, giustificando in questo modo come la lingua zerga abbia attecchito in buona parte d’Italia.

Ma come funziona? Come abbiamo detto è una lingua parassita quindi semplicemente adotta le regole della lingua principale, l’antico italiano nello specifico, e ne sostituisce le parole in maniera più o meno chiara. Infatti, alcuni termini vennero tradotti in maniera piuttosto familiare come nel caso di “lanterna” per “occhi” ma altri suonano piuttosto oscuri, come nel caso di “spigare” nel senso di “avere paura”. Collocarlo in termini temporali è poi complesso poiché è una lingua che, data la sua natura di segretezza, potrebbe essere stata in circolazione anche per decine di anni prima di essere trascritta o notata da qualcuno che ne avrebbe poi lasciato delle tracce. Ad ogni modo, alcuni linguisti sostengono che sia già possibile leggere alcuni esempi di lingue segrete in Cecco Angiolieri (13esimo secolo) o in Bonaventura da Imola (14esimo secolo). O ancora, nel 15esimo secolo, Luigi Pulci sembra scrivere in furbesco una lettera a Lorenzo il Magnifico a proposito di alcuni “pesci”, cioè prostitute da portare alle feste; in questo caso non si sa se sia solo un esercizio di stile, un gioco quindi, oppure un vero e proprio modo per nascondere gli accordi più o meno torbidi tra i due.

La svolta probabilmente più importante per la letteratura furbesca arrivò però nel 1545, quando venne realizzato il primo vero compendio sulla lingua zerga ad opera del poeta Antonio Brocardo; egli aveva infatti promesso alla sua amata Marietta Mirtilla di insegnarle in appena due ore il vocabolario furfantesco e quindi mise giù una serie di parole furbe affiancate dalla traduzione nell’italiano corrente. Il testo, noto come “Nuovo modo de intendere la lingua zerga” inaspettatamente ebbe un certo successo attirandosi, nondimeno, più di una critica dai colleghi.

Grazie anche a quel lavoro, come  d’altronde un po’ tutti i linguaggi parlati da una sub-cultura come oggi potrebbero essere i giovani con i loro “bella, fra, zio, etc”, anche il furbesco finì per entrare nella letteratura e nel teatro; gli scrittori usavano tale lingua per connotare alcuni personaggi in modo da dare immediatamente un’immagine plastica di chi fossero e cosa stessero facendo; ciò lascia quindi presupporre che ci sia stato uno sdoganamento o per lo meno una qualche codificazione della terminologia furfantesca, e questo perché altrimenti il pubblico non avrebbe potuto seguire un granché di quello che si diceva in scena. Altri letterati invece fecero proprio il vocabolario furbo per ampliare il ventaglio di parole da usare nei propri lavori; o ancora, divenne un modo scherzoso per parlare tra amici, ifinstifilefe afalfafabefetofo fafarfafallifinofo.


Nonostante le obiezioni, l’ipotesi espressa da Brocardo già nel titolo divenne effettivamente un “nuovo modo di intendere” quella lingua tanto oscura in alcuni ambienti quando ironica in altri. Sta di fatto che la sua scommessa ebbe successo, forse anche grazie al suo intervento, e il furbesco continuò ad esistere almeno fino al 1900, quando pian piano sparì dalla bocca di tutti, probabilmente a causa o grazie alla crescente scolarizzazione degli italiani.


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