Come la mafia ha aiutato la comunità gay di New York | I Domandony
Ultimamente per gli incipit di questi articoli mi vengono in mente solo proverbi. Oggi, per esempio, per presentarvi l’argomento mi si è subito parato davanti agli occhi questo: non tutto il male viene per nuocere, ovvero come la mafia ha aiutato il movimento LGBTQ+ della grande mela.
Per la comunità arcobaleno i moti di Stonewall sono l’inizio della militanza vera e propria, una spaccatura concreta nella storia del popolo LGBTQ+. Giusto per capirci, facciamo un breve riassunto: nel giugno del 1969 avvenne uno scontro tra gli omosessuali che frequentavano il locale Stonewall Inn di New York e la polizia, che era solita fare incursioni nei bar gay o sospettati tali. A quei tempi i bar non potevano servire alcolici ai gay che si presentavano in gruppi maggiori di due persone e quindi spesso il divieto era praticamente totale. Ma dove la legge dice “no”, qualcuno pronto a dire “si” e ad aggirare le regole c’è sempre; d’altronde la mafia americana ci aveva fatto il callo con i sotterfugi legati all’alcol durante il proibizionismo. Uno dei metodi adottati in tal senso fu quello dei “bottle bars”, cioè locali in cui ci si portava da bere da casa, così che non ci fosse nessuna transazione da parte dell’esercente. Ovviamente “casa” significava il giro di alcolici venduti illegalmente e direttamente dalla mafia fuori dai locali, in luoghi nascosti e appartati; c’erano persino degli armadietti dove nascondere le bottiglie al volo in caso di retata. La qualità poi lasciava a desiderare, gli alcolici venivano allungati con l’acqua e venduti a peso d’oro.
In generale, già da decenni le cosche newyorkesi si occupavano della vita notturna della città, controllando locali e discoteche, tra cui anche il Stonewall Inn. La storia del locale come lo conosciamo oggi inizia nel ’66 quando Tony Lauria (aka fat Tony, affiliato alla famiglia Genovese, cioè una delle cinque grandi famiglie della città) comprò e “riqualificò” un locale che fino ad allora era stato uno come tanti. Lo rese specificatamente un locale gay: squallido, sporco, persino senza acqua corrente e per giunta pericoloso. Nonostante ciò, divenne uno dei centri della comunità gay, un vero e proprio rifugio per chi aveva dovuto abbandonare la propria vita dopo essersi esposto.
Ovviamente non era beneficenza da parte della mafia, ma solo una questione d’affari. Il suo contributo più grande non fu tanto quello di offrire un posto dove creare una vera e propria comunità (cosa che comunque sarà fondamentale per ciò che accadrà più tardi), ma quello di oliare gli ingranaggi giusti. La polizia era sempre alla ricerca di “atti indecenti” da sanzionare o di qualche checca da picchiare, ma fat Tony in persona consegnava mazzette da 1200 dollari alla settimana alla polizia per chiudere un occhio (ai tempi erano un sacco di soldi, circa 7700 euro di oggi). E la polizia obbediva, ma a modo suo, giusto per essere discreta. Nel caso dello Stonewall Inn prima di cominciare a menar le mani, i proprietari venivano avvisati che i controlli sarebbero arrivati a breve, in modo da dargli il tempo di far uscire tutti.
Quello mafioso fu un contributo che ben presto divenne un peso insostenibile per la comunità gay che si sentiva tanto schiacciata dalla polizia, quando dalla mafia che voleva lucrare così avidamente sul suo svago. Ma a ben vedere, la mafia si è creata un nemico con le sue stesse mani; nonostante il disinteresse totale verso le norme civili, fat Tony diede ai gay/lesbiche/travestiti/etc di New York la possibilità di incontrarsi e di formare una vera e propria comunità che finalmente, grazie anche a questo, trovò la forza di opporsi. Tutto il disprezzo e il risentimento dovuto ai soprusi vennero fuori nel ’69 con le rivolte di Stonewall durante le quali non era difficile sentire frasi come:
"Via la mafia e gli sbirri dai bar gay!".
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Reviewed by Antonio Emmanuello
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14:19:00
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