Harry Harlow: lo scienziato pazzo della psicologia | I Domandony


Se cercate la definizione di scienziato pazzo su Google probabilmente troverete la faccia di Harry Harlow, ma dalla sua scelleratezza abbiamo capito qualcosa in più sulla nostra umanità. Oggi vediamo gli esperimenti sull'attaccamento materno nelle scimmie.


Nei primi decenni del ‘900 la psicologia si è energicamente dedicata allo studio dei rapporti fra le persone e allo sviluppo dei bambini. Per cominciare ad avere delle risposte interessanti e valide ancora oggi bisogna però aspettare fino agli anni ’50, soprattutto grazie agli studi dello psicologo comportamentale John Bowlby. Ma facciamo un passo indietro al 1930.



Harry Harlow si è laureato a Stanford e a 25 anni aveva già completato il suo dottorato, svolto studiando i primati non umani. Il suo progetto era volto a conoscere l’intelletto, la memoria e la cognizione (la capacità di imparare) attraverso le scimmie presenti allo zoo locale di Madison, Wisconsin (USA). Grazie a questo primo approccio, Harlow cominciò a conoscere i primati e capì che man mano che i test proseguivano, i suoi soggetti sviluppavano delle strategie, dimostravano cioè di star imparando ad imparare (più tardi questo fenomeno verrà chiamato learning set). Come con l’uomo, l’apprendimento è molto più facile da studiare con soggetti molto giovani e quindi lo psicologo finiva spesso per strappare i cuccioli dalle cure materne. Gli anni trascorsero e Harlow continuò ad accumulare dati sul comportamento dei suoi primati: notò il diverso comportamento che le scimmie sviluppavano una volta adulti, notò come i cuccioli fossero particolarmente attaccati al loro pannolino di stoffa pelosa, e notò anche gli effetti psicosomatici causati dalla deprivazione materna.



Si fece il 1950 e il sopraccitato Bowlby pubblicò un suo studio condotto per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a proposito del legame madre-figlio; la sua ricerca si basava sulle evidenze raccolte nei bambini separati dai genitori in caso di istituzionalizzazione (solitamente per questioni di igiene mentale). Da qui cominciò ad emergere il concetto di “caregiver”, indicante quella figura che per il bambino risulta essere fondamentale. Per la prima volta non venne più descritta in termini di semplice dipendenza biologica (la madre sfama il bambino con l’allattamento), ma si cominciò invece a parlare di un legame più profondo generato da vari fattori. Fra gli psicologi scoppiò il dibattito e Harlow non si tirò indietro, sostenendo anch’egli il pensiero del collega.



Basandosi sulle sue osservazioni precedenti, Harlow cercò allora di mettere alla prova questa ipotesi. Per il suo test sfruttò alcuni cuccioli di macaco (Macaca mulatta) e due strutture metalliche (molto) vagamente scimmiodi. Uno dei manichini era un semplice telaio di ferro con un abbozzo di faccia, l’altro invece aveva un volto leggermente più simile ad una scimmia ed era coperto da un panno peloso, in modo da richiamare la pelliccia della madre. Vennero allora creati due scenari: in uno la madre ferrosa aveva del cibo, nell’altro accadeva l’opposto. Harlow vide che, nonostante lo stimolo primario del cibo, i piccoli macachi preferivano stare sulla madre pelosa e si avvicinavano all’altra solo in caso di fame. Già questo fece capire al ricercatore che allora la connessione madre-figlio doveva andare al di là del semplice sostentamento.



E allora cosa c’era di più? In un test “a campo aperto”, Harlow immerse i suoi soggetti in uno scenario tutto nuovo con oggetti mai visti. Quando la madre surrogato (il manichino) era presente i piccoli erano inizialmente circospetti e spiazzati, rimanevano arrampicati per un po’ sulla madre ma poi cominciavano ad esplorare; nei casi in cui invece la madre era totalmente assente, le scimmiette rimanevano paralizzate dalle novità e finivano per raggomitolarsi succhiandosi il pollice. In un altro esperimento basato sulla paura, i piccoli venivano messi di fronte ad un orsetto di pezza che emetteva un suono fastidioso: quando la madre finta era presente, i macachini non dimostravano paura e si avvicinavano persino alla fonte, ma in sua assenza ne rimanevano terrorizzati. E ancora, altri test studiarono le reazioni delle scimmie che venivano cresciute o solo da un manichino scarno o solo da un manichino peloso; a livello puramente fisico, Harlow non notò granché dato che i soggetti crescevano in maniera molto simile, ma le scimmie con la madre ferrosa producevano una cacca molto più liquida e soffrivano spesso di diarrea, le altre no. La soluzione del ricercatore fu che si trattava di una reazione psicosomatica dovuta allo stress generato dalla mancanza di contatto con la madre.



Queste scoperte furono la prova provata delle ipotesi non solo di Harlow, ma anche di Bowlby, considerato il padre della teoria dell’attaccamento. Sono state importanti perché sovvertirono il pensiero che aveva caratterizzato buona parte della pedagogia occidentale fino a quel momento, basata sull’idea che un forte legame fisico ed emotivo fra genitore e figlio fosse un problema per lo sviluppo dei bambini. Harlow dimostrò invece che è l’assenza di una figura principale, o caregiver, a determinare un comportamento adulto antisociale, aggressivo o spaventato; infatti le scimmiette allevate lontano dalla madre che faceva da esempio, da ponte e da confort, non riuscirono ad integrarsi perfettamente nei gruppi in cui vennero poi inserite, e preferivano quindi starsene in disparte. Harlow poi è stato il primo a sostenere che non sia solo la madre la figura chiave per il bambino, ma che il padre può rivestire quel ruolo senza alcun problema. Un’affermazione lontanissima dai canoni del tempo.




Le ricerche di Harlow, benché i risultati siano tutt’ora validi e nonostante abbia scritto una delle ricerche più citate in ambito accademico, sono oggi molto criticate per l’amoralità del loro svolgimento. Il ricercatore si spinse molto oltre quello che abbiamo visto qua sopra, che già non è il massimo; ad esempio tenne rinchiuse alcune scimmiette in gabbie piccolissime dalla nascita fino anche ai due anni di vita per osservare il loro comportamento una volta uscite. Ecco perché, come dicevamo all’inizio, può essere definito uno scienziato pazzo, ma dalla sua metodologica crudeltà sono stati raccolti dati fondamentali e che ancora oggi gettano le basi e trovano riscontri nei test che vengono svolti in maniera decisamente più etica.


Harry Harlow: lo scienziato pazzo della psicologia | I Domandony Harry Harlow: lo scienziato pazzo della psicologia | I Domandony Reviewed by Antonio Emmanuello on 17:08:00 Rating: 5

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