Bisogna fidarsi degli esperti di vino? La scienza risponde | I Domandony
Per una volta dirò una cosa che non mi avete mai sentito pronunciare e che forse non farò mai più: non sempre bisogna ascoltare gli esperti. Non quelli del vino per lo meno.
Come tutti i settori che hanno a che fare col gusto personale, quello dei degustatori di vino è un campo molto suscettibile al mood del momento. Per capirci qualcosa, facciamo iniziare questa storia nel 2005 con Robert Hodgson, produttore di vino della California con un passato nel campo dell’oceanografia e della statistica. Nella sua seconda vita da pensionato riscopertosi vinificatore, Hodgson è solito presentare i suoi vini ai vari concorsi del settore, classificandosi spesso molto bene. Dopo varie edizioni ha cominciato però a sospettare che qualcosa non quadrasse e che le votazioni fossero quantomeno strane. Nel 2005 propose allora al California State Fair, il concorso più prestigioso dello stato americano, un esperimento da svolgere sui giudici. Come sempre agli esperti anche quell’anno vennero presentati dei vini da annusare, assaporare e giudicare. La particolarità di quell’edizione fu però che alcuni vini venivano presentati più volte, sempre versati dalla stessa bottiglia in modo da non alterare i risultati. Ebbene? In circa il 90% dei casi le votazioni degli stessi vini cambiava nel giro di pochissimi minuti; il ricercatore osservò infatti che buona parte dei giudici riusciva a passare nell’arco di pochi istanti dal valutare un vino con un punteggio di 86/100 a uno di 94 su 100. Questo nei casi medi; ci furono poi degli estremi in cui si riuscivano a superare persino i 10 punti percentuali sugli stessi vini. Si tratta di oscillazioni che di primo acchito ci potrebbero sembrare poco significative ma che in contesti rinomati come quelli presi in considerazione possono essere rilevanti.
Questo studio, pubblicato poi dall’Association of Wine Economists (organo no profit e autorevole collegato anche all’Università di Cambridge) è stato ripetuto per anni, su un campione di 65/70 giudici per ogni anno e i cui dati sembrano confermarsi ad ogni giro: appena il 10% degli esperti riesce a rimanere coerente con le proprie votazioni.
Questo non è neanche il primo dei test che confermano un comportamento ormai molto conosciuto nell’ambiente. Già nel 2001 Gil Morrot, Frederic Brochet e Denis Dubourdieu, accademici francesi ed esperti di vino, avevano messo alla prova il palato di alcuni giudici dimostrando che è (quasi) tutta questione di gusto ed estetica. Il loro test è diverso dal precedente condotto da Hodgson poiché non è un blind test, cioè una prova a scatola chiusa senza la possibilità di vedere il prodotto da giudicare. In questo caso i partecipanti potevano vedere chiaramente i vini e infatti proprio su questo aspetto si basava il test. In pratica i tre misero alla prova 57 volontari con un Bordeaux di ottima qualità . La prova si tenne in due settimane: ad un giro presentarono il vino selezionato in una bottiglia prestigiosa che lasciasse trasparire l’importanza del prodotto, poi invece lo servirono come un vino normalissimo da tavola. I ricercatori quindi analizzarono l’uso delle parole dei degustatori per ricavare i loro risultati: nonostante fosse sempre lo stesso vino, nel caso della presentazione come vino da tavola, le parole più frequenti usate per descriverlo furono “debole, leggero, piatto” e così via, tutti termini tendenti al negativo. Quando invece veniva presentato come un prodotto premium il vocabolario cambiava con espressioni positive come “complesso, bilanciato, legnoso”, etc etc.
O ancora, e questa sembra davvero una presa in giro, i tre ricercatori francesi provarono a colorare di rosso un vino bianco, senza alterarne il sapore, e i 54 tester a cui venne proposto reagirono sostenendo fosse proprio un vino rosso. Il risultato complessivo della loro ricerca, che si basava ovviamente su ben più approfondite prove ottenute anche con scansioni cerebrali e test psicofisici, fu che gli esperti, come tutti, si fanno ingannare dall’immagine delle cose che hanno davanti. Ovvero: la vista può condizionare il sapore delle cose.
Se non bastasse c’è poi l’ormai famoso esperimento del 2008 che collega il prezzo del vino con la bontà percepita: più pensiamo che un vino sia caro, più lo riteniamo pregiato, anche quando non è assolutamente vero. O ancora, un test del professor Richard Wiseman dimostrò che lanciare una monetina o chiedere alla gente di determinare quale fosse il valore di un vino, equivalgono dato che intorno al 50% delle persone non sapeva rispondere in maniera corretta.
Dunque, tiriamo le conclusioni.
A ben vedere la risposta era già stata data in apertura: tutto dipende dai gusti personali e perciò affidarsi agli esperti in questo caso potrebbe essere superfluo. Ad onor di cronaca, bisogna specificare che i sommelier non sono completi ciarlatani e molti, come lo stesso Hodgson, concordano che la difficoltà stia proprio nel concetto di sfida: non siamo bravi nel mettere a confronto decine di vini in una volta sola. Magari vi starete anche chiedendo come mai c’è qualcuno che si è preso la briga di testare in maniera scientifica ed accademica quanto appena detto: il mercato del vino genera miliardi e i giudici dei concorsi possono decretare con il loro voto il successo o meno di un prodotto. Se il loro giudizio è però casuale, le aziende possono rischiare di pagarne le conseguenze senza un vero e proprio motivo. La morale alla fin fine è sempre la stessa: bevete quel che vi pare, anche il Lambrusco frizzante dell’MD che non è affatto male (signor MD, mò mi dia della pecunia).
PS: Sangue di Giuda best vino ever.
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Reviewed by Antonio Emmanuello
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16:23:00
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