L'uomo universale: la modernità ha ucciso il genio? | I Domandony
Per quasi tutta la Storia abbiamo avuto esempi di personaggi particolarmente dotti, versati nelle arti di ogni tipo ed eruditi a 360 gradi. Un esempio è Imhotep, architetto, astronomo, medico e intellettuale dell’antico Egitto vissuto quasi 5 mila anni fa (terzo millennio a.C.), considerato tra i primi casi inscrivibili nella categoria degli uomini universali. Ok, ma di che si tratta? Durante il tardo medioevo, praticamente nel rinascimento, emerse questa idea di “uomo totale”, cioè il traguardo che ogni persona dovrebbe prendere come obiettivo personale, forma ultima a cui ispirarsi nel proprio sviluppo personale. Per raggiungere tale stato, bisognava studiare e far pratica di ogni arte, bisognava essere versatili, interessarsi di architettura e impadronirsi della poesia e della musica, conoscere varie lingue, disquisire di filosofia e così via. L’uomo universale, in pratica, era colui che accumulava il maggior sapere possibile, colui che diventava esperto in varie discipline. Per questo motivo viene anche chiamato polimate, dal greco πολυμαθής, cioè “molto istruito”. E non bastava far lavorare la testa poiché un uomo davvero totale doveva anche avere una buona forma fisica per dimostrare di essere un atleta completo.
Questa concezione è stata influenzata, e a sua volta influenzava in un circolo virtuoso, anche dalle nuove idee rinascimentali, dalla nascita della scienza grazie a Galileo, dallo spostamento dell’uomo al centro dell’universo a discapito di Dio; il sapiente si pose infatti nel mezzo fra razionalità e spiritualità e cominciò a vedere il sapere come potere. Un esempio assolutamente lampante di uomo universale vi è già venuto in mente leggendo le righe qua sopra ed è sicuramente Leonardo da Vinci, forse uno degli esseri più poliedrici ad aver calpestato questa terra. Ma con lui ce ne sono stati molti, da Varrone ad Aristotele, dallo scrittore Shen Kuo fino a Xu Guanhqi. E poi Conrad Gessner, Al-Biruni, Galileo, Niccolò Machiavelli e Leon Battista Alberti. Ci sarebbe poi un altro personaggio di cui abbiamo già parlato qualche giorno fa, cioè John Wilkins di cui potete leggere meglio nell'articolo a lui dedicato.
Incredibilmente, ma nemmeno troppo, negli ultimi secoli non ci sono più stati così tanti geni universali. La risposta, come potete immaginare, è ovvia: la specializzazione. Nel passato la quantità di informazioni era ridicola se paragonata a quella di oggi. Ogni anno produciamo, senza neanche esagerare troppo, più cultura di quanta ne sia stata creata nei passati 5 mila anni. Per millenni gli uomini di cultura sono stati una piccolissima minoranza, mentre oggi fortunatamente ci sono milioni di persone dedite allo studio, alla ricerca, al sapere in ogni sua forma. Tutto ciò si traduce nell’impossibilità di eccellere in tutto. Anche volendo ridurre il campo d’azione, la specializzazione di ogni singolo aspetto della società ha reso improbabile essere versato in più di un argomento: si pensi ad esempio ai dottori che si occupano di singoli aspetti del corpo. La modernità ha quindi ucciso davvero il genio universale, ma ha reso molto più potente il cervello collettivo, cioè l’insieme di tutto il sapere che viene reso disponibile a tutti tramite lo scambio di informazioni. La modernità, in un certo senso, ha reso inutile il genio di un singolo in favore di una ramificazione collettiva del sapere.
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Reviewed by Antonio Emmanuello
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