Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza (2014) - Le Recensiony



Se dovessi paragonarlo ad una giornata, questo film sarebbe una di quelle di studio pazzo e disperatissimo in cui sei all'inutile ricerca di quell'unico saggio in inglese, quando va bene, pubblicato in mezza edizione, 36 anni prima e alla fine, data l'infruttuosità della ricerca, ti abbandoni a Google Translate che ti restituisce frasi improbabili. Ecco, sai che lì c'è scritto qualcosa, sai che c'è un messaggio, ma proprio non lo cogli. Proprio come il film, ma andiamo con ordine.

La pellicola si apre in un museo di scienze naturali al cui interno un uccello impagliato sta appollaiato su di un ramo, richiamo al quadro di Bruegel "cacciatori nella neve" raffigurante appunto dei volatili che guardano dall'alto gli affari umani, e nella sua teca sembra studiare l'esterno.

Titoli di testa.
Tre incontri con la morte:
Il marito con la moglie a distanza, che decede in una situazione quotidiana.
La madre circondata dai tre figli, che perisce senza lasciare la borsa piena di gioielli (richiamo a Verga?), mentre uno dei figli cerca di portargliela via.
L'uomo circondato da una piccola folla, che muore nell'indifferenza di tutti.

Inizia la "trama" vera e propria, se così possiamo chiamarla, in cui i protagonisti si alternano continuamente in trentanove pannelli, scene, piani sequenza statici e asimmetrici. I due "protagonisti" sono venditori porta a porta di scherzi di carnevale, tristi, non motivati e neanche troppo bravi nel loro lavoro. Il che mi ricorda Watchmen, e forse mi ha condizionato nell'intera visione:

"un uomo va dal dottore. È depresso. Dice che la vita gli sembra dura e crudele. Dice che si sente solo in un mondo che lo minaccia e ciò che lo aspetta è vago e incerto. Il dottore dice: "La cura è semplice. In città c'è il grande clown Pagliacci. Vallo a vedere e ti tirerà su". L'uomo scoppia in lacrime. "Ma dottore", dice, "Pagliacci sono io". Buona questa. Tutti ridono. Rullo di tamburi. Sipario".


Le loro strade si incrociano con quelle di altri, l'uomo in divisa che aspetta fuori dal ristorante non si sa bene cosa (Godot?), il flashback del 1943, l'armata di Carlo XII di Svezia, la recita, le chiamate al cellulare, tutto collegato meticolosamente da un qualcosa. Una frase, un luogo, un oggetto. Sono tutti quadri della quotidianità visti come da un uccello, distante, abbastanza in lontananza per potersi fare beffe degli usi e costumi che tutti i giorni adottiamo, senza neanche sapere perché; un richiamo forse alla sociologia di Schutz in cui la sospensione del dubbio è fondamentale per non fermarci a questionare qualunque cosa ci accade intorno. La frase

"sono contenta/o di sentire che stai/state bene" 



ripetuta fino alla nausea, sintomo della comunicazione che va per modelli, senza reale interesse, fatta di luoghi comuni replicati fino a perdere senso. La telecamera sempre statica sottolinea come queste vite, come LA vita, dall'esterno sia banale, monotona e grottescamente comica. La tragedia della perdita del lavoro è descritta nella maniera comica/non-sense tipicamente nord europea (ricordiamoci, per fare solo un esempio, de "il centenario che saltò dalla finestra e scomparve").

La critica alla società è a tutto tondo, quella moderna dell'homo sapiens che fa ricerca su una scimmietta senza apparenti motivi, quella più datata della sopraccitata armata che irrompe in un locale contemporaneo intimando alle donne di uscire. Machismo che si contrappone subito al la scena del principe che chiede/ordina al cameriere di diventare suo concubino. Le stesse donne torneranno molte scene dopo a sedere sugli stessi sgabelli mentre gli stessi soldati, quei pochi ritornati dall'eterna lotta contro la Russia, sembrano stavolta ignorarle. Sintomo forse di come alla fin fine il cambiamento si imponga sulla realtà. Il film finisce con un'ultima critica in cui dei colonialisti alimentano una macchina con schiavi giovani e neri mentre dei vecchi bianchi guardano come a teatro.

La "trama" è tutta basata sul grottesco e non ha veramente intenzione di raccontare una storia, piuttosto ragiona come un piccione sugli infiniti problemi di una banalità disarmante che ogni persona affronta, sui costumi, che richiamano Erodoto e il suo Pindaro che aveva ragione nel dire che “la consuetudine è regina di tutte le cose”. Distacco emotivo costante, nella regia statica, nel colore grigiastro, nella fotografia decentrata, asimmetrica che sembra mettere Andersson (Roy) contro Anderson (Wes), il secondo alla ricerca della perfezione nella semplicità, il primo al contrario sposta il fuoco a sinistra, decentralizza, porta in scena l'imperfezione della banalità. E alla fine il piccione, forse perché lontano, ci sembra piccolo e sporco, ma è l'albatro goffo che in volo diventa re dei cieli e si chiede se è giusto servirsi degli altri solamente per il proprio piacere.
Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza (2014) - Le Recensiony Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza (2014) - Le Recensiony Reviewed by Antonio Emmanuello on 15:00:00 Rating: 5

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