Effetto Kulešov: perché il montaggio cinematografico è così importante (e pericoloso)? | I Domandony
Il cinema è un’arte molto giovane
che risale ad appena 130 anni fa e che ha subito un’evoluzione rapidissima
rispetto a tutte le altre forme espressive, spinta in ciò dall’economia e da un
nuovo modo di fruire il mezzo stesso. Quest’ascesa è stata così veloce che
certi eventi sono risultati automatici nella pratica ancora prima che qualcuno
potesse davvero capire cosa stesse succedendo a livello teorico. Un esempio è
il caso del montaggio che dà senso alle riprese. La sua prima grande
applicazione si fa coincidere con Georges Melies, maestro indiscusso del cinema
e degli effetti speciali realizzati proprio grazie a tagli certosini e
incredibili per i tempi. Ma fu con il film “Nascita di una nazione” che si
ebbe l’applicazione pratica del montaggio; infatti qui il registra David W.
Griffith pose un particolare accento sul montaggio teorizzando pragmaticamente
(un ossimoro?) già nel 1915 il linguaggio cinematografico fatto di
inquadratura, scena e sequenza.
Servì però qualche altro anno
prima che il russo Lev Kulešov spiegasse al mondo cosa fosse la sintassi
filmica. Se infatti Griffith l’aveva già applicata, toccò a Kulešov capire PERCHÉ
funzionasse. Per farlo, negli anni venti del novecento mise in scena degli
esperimenti che purtroppo sono stati distrutti o persi. Secondo i racconti di
chi partecipò, come il suo allievo e futuro regista Vsévolod Pudovkin, Kulešov selezionò
per prima cosa una ripresa di un attore la cui espressione era neutra, il cui
sguardo non esprimeva assolutamente nulla e a quel punto percorse tre vie.
In un primo montaggio alternò l’attore,
un piatto di zuppa e di nuovo l’attore.
Nel secondo esempio mise in
sequenza l’uomo, una donna in una bara e di nuovo l’uomo.
Nella terza opzione prese sempre
la stessa identica ripresa del tizio, una bambina che giocava con un pupazzo e
di nuovo il tizio.
Una volta completata la
preparazione, mostrò il risultato a un pubblico che convenne che nella prima
sequenza l’uomo aveva vistosamente appetito, nella seconda era triste per la
morte di qualcuno e che nella terza fosse intenerito o provasse gioia per la
bambina. Ma se la ripresa dell’attore era sempre la stessa, com’era possibile che
il pubblico vedesse cose diverse? Kulešov
chiamò questo particolare risultato “geografia creativa” e postulò che si potesse
creare una narrativa visuale tramite il montaggio anche utilizzando solo video
neutri. Infatti, il significato viene creato insieme al pubblico e non solo
dalle immagini: siamo noi a dare senso a quello che vediamo, almeno in parte. In
altre parole, vediamo quello che vogliamo vedere o quello che siamo abituati a
percepire perché inserito nei nostri schemi sociali. Se infatti sappiamo di
dover essere tristi per la morte e affamati per il cibo, daremo quelle
sensazioni anche allo sguardo neutro di un attore; va inoltre considerata anche
la velocità di riproduzione: non avendo tempo di analizzare lo scorrere delle
immagini, dobbiamo elaborare istintivamente quello che ci viene mostrato e
dunque reagiamo in maniera emotiva.
In anni più recenti l’effetto Kulešov,
così venne poi chiamato dai suoi allievi quali Sergej Ejzenstejn, è stato
testato anche a livello scientifico dagli psicologi che hanno effettivamente
trovato una corrispondenza fra la percezione di un volto e il contesto in cui è
inserito. Questo però ci porta ad un bel problema tanto morale quanto pratico:
se è così efficace, cosa vieta a chiunque di manipolare “la realtà”?
Per colpa della bassa attenzione
che diamo alle cose, com’è normale che sia circondati da così tanti stimoli,
non sempre ci possiamo soffermare a ragionare su tutto e se ci ritroviamo di
fronte a qualcuno in malafede è facile cedere ad un’emotività veicolata da
immagini ben miscelate. Prendiamo per esempio un telegiornale che vuole
presentarci una notizia in modo positivo o negativo per portare avanti una propria idea (agenda setting) e che per farlo utilizzi immagini affini a quell’idea
proposta. Di primo acchito sarà difficile capire cos’è successo, ma si formerà
un’idea, un’associazione o, in gergo, un framing ben preciso nel nostro
cervello che sarà utilizzato successivamente come punto iniziale per
interpretare la realtà.
Se quindi il montaggio è una
lingua, ancora una volta le parole (o le immagini) si dimostrano importanti.
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