La Comunidad - Intrigo all'ultimo piano (2010) | Le Recensiony
Se dovessi paragonarlo ad una giornata, questo film sarebbe quel momento in cui hai fatto qualcosa di sbagliato e speri che nessuno ti abbia visto. Sarebbe uno di quei giorni in cui hai lasciato il portafogli a casa e speri che non ti fermino per chiederti la patente. Hai la costante sensazione di occhi puntati contro, l'angoscia del senso di colpa e la paura dell'essere giudicato.
La pellicola va oltre, lo fa anche in maniera semplice e piuttosto palese, senza troppi fronzoli nei messaggi. Riserva invece una certa classe, una certa forma alle immagini, cariche di citazioni ad un cinema di genere degli anni 60/70.
Si apre con un piano sequenza dinamico che ci presenta il condominio, da cui il titolo, dall'esterno, mostrandoci fin da subito un gatto, uno dei tanti simboli, richiami e allusioni che troveremo man mano. Stacco. Ora siamo dentro. Stacco. Titoli di testa, alla Hitchcock che dirige 007, ansiogeni e distorti nei colori, nei rumori e nella musica che incorniciano perfettamente la sequenza. Bellissimi.
Senza ulteriori giri di parole ci viene presentata Julia, un'immobiliare non troppo brillante, che incontra un altro simbolismo, questa volta una carta dei tarocchi che ritornerà nelle scene finali.
Senza neanche averlo mai visto, mostra l'appartamento ad una coppia ma più che convincere loro, si ritroverà a convincere sé stessa. E infatti ci riesce.
Nel frattempo il marito, anch'egli ormai avanti con gli anni, torna da uno dei tanti suoi lavori saltuari, fa il "padre che rimprovera", ha, diciamo, bisogno di "rilassarsi" e il tutto è ben tenuto d'occhio da nientepopodimeno che Darth Vader e dalla sua finestra di fronte.
*asma*
Una perdita ne rivela un'altra e De la Iglesia riesce a rimarcare bene la natura umana, estraniandoci per la prima volta e mettendoci di fronte ad una bisociazione fra il tono di cordoglio e l'esultazione per la morte di qualcuno, il tutto messo in scena dai primi due personaggi del condominio che ci vengono presentati.
I convenevoli fra pubblico e schermo durano poco, giacché ai primi rumori tutto il palazzo si riversa speranzoso sulle scale.
Arrivano i pompieri, buttano giù la porta e qui finalmente capiamo che qualcosa non va; la curiosità che diventa morbosità è eccessiva, la desolazione dello scenario è invadente, sono vere e proprie immagini claustrofobiche, come l'intera ambientazione sia per gli spazi sempre chiusi, sia per i toni che si smorzano e si allargano solo sul finire.
Trovato il cadavere, viene recuperato di nascosto anche un portafogli che grazie a Mastro Lindo si scoprirà contenere un mistero, un indizio ed anche la risoluzione. Il mistero sul cosa sia, l'indizio sul cosa indichi e la soluzione sul dove trovare ciò che indica.
Ed ecco recuperato il bottino che con non poca fatica riesce a trasportare dalla casa del vecchio alla sua, e qui iniziano le prime cospirazioni.
Presa dell'euforia, Julia si getta in fantasticherie sul suo avvenire da ricca sperperatrice, o da ricca ma integra, o ancora da imprenditrice che vive di rendita. Il tutto contornato da un consumo smodato di sigarette accese e subito gettate.
Il marito, all'oscuro di tutto e con un occhio nero, spegne l'entusiasmo della moglie tanto da trascinarsi in un litigio controfemminista. Di certo non s'intende andare contro le donne, ma si mette in campo il dramma del nostro tempo di passaggio, tra una cultura maschilista e patriarcale del passato ed una più equa, dove però l'equità viene difesa solo quando si vogliono dei diritti, quando si hanno delle pretese. E qui leggiamo proprio questo; Ricardo, il marito, furentemente fa notare come per anni l'avesse mantenuta e ora che tocca a lei, non perde occasione per rinfacciarglielo/ridicolizzarlo e si arriva dunque non a sottolineare le differenze fra i generi, bensì ad evidenziare come siamo tutti uguali, il minimo potere concessoci basta per esercitarlo negativamente sugli altri.
Il marito esce dunque di scena e se qualcosa prima la tratteneva, ora non più.
Facciamo la conoscenza dello strano tipico di De la Iglesia, se non del cinema spagnolo in generale; non bello, non brillante, con passioni fuori dalla sua fascia d'età e dal contesto che frequenta, troppo legato alla madre con cui apparentemente ha un rapporto di dipendenza e odio; è in buona sostanza l'emarginato o lo strambo che non ci piace quando ci si siede di fianco sul treno o sul bus.
Si procura una valigia dove mettere tutti i soldi, il cubano vuole farle la festa e Darth Vader sente che la forza scorre potente in lei.
Fattasi sera, raggiunge il festoso party delle comparse in cui ognuno le fa il terzo grado a modo suo per cavarle qualche informazione. Tra un bicchiere e l'altro, l'alcol fa la sua magia come la fata madrina, ma non siamo in "Cenerentola" e quando Julia torna a casa non ha perso una scarpetta, bensì trova degli uomini che si fanno topi alla ricerca sfrenata nel marciume, non quello delle fogne, ma il loro stesso.
Benché lo spettatore ne fosse ormai conscio da un po', per Julia questa è la vera e propria conferma, il sospetto aleggia e si stringe sempre di più alla valigia.
E poi giù per cinque piani.
Da Euro Disney l'amministratore torna per parlare quasi allo spettatore, accusando la protagonista e rompendo a tratti la quarta parete per dirci quanto siamo tutti uguali, di quanto siamo colpevoli, che siamo avidi, che non abbiamo principi, che non vogliamo condividere. In un clima sempre più dantesco in cui neanche le forze dell'ordine riescono a salvare la situazione (ad onor del vero ho trovato forzato questo passaggio, si mette in moto un deus ex machina fin troppo semplicistico e spero anche irreale), la nostra riccona viene trascinata in casa, sempre e comunque spiata dal lato oscuro, che nel mentre ha comprato decine di scatole del monopoly.
Lo zombi si sveglia, il ballerino la seduce, decade anche l'ultima fiducia, il balcone, Tarzan de noi altri, il gatto, l'indifferenza dei passanti che diventa incomunicabilità fra persone, l'ultimo piano (anche quello di fuga), il ritorno di Darth Vader, la fuga sui tetti, il sacrificio del lato oscuro che si finge stupido.
Stiamo ora guardando un fumetto, tanto che v'è quello che mi pare un rimando a Gwen Stacy nella caduta fra i fili del bucato; si rompono alleanze, situazioni sempre più grottesche e ridicole, salti improbabili, l'anima della valigia, gli avvoltoi che urlano sul cadavere e…
Bello, davvero intrigante oserei dire (ma parla bene!). Alex de la Iglesia è anche fumettista e non a caso talune dinamiche sembrano uscire dalla carta patinata, sia qui che in altri lavori come "La ballata dell'odio e dell'amore", (consigliato pure lui). Viene messo in campo il grottesco in maniera quasi allucinante, con dei personaggi ben caratterizzati, benché non troppo approfonditi; abbiamo di fronte quasi delle maschere classiche, è tutto un teatro in cui ci si muove in sincronia, fatto di pesi e contrappesi. Pesi e contrappesi che però usano unità di misura diverse, non sanno comunicare, accusano gli altri pesi di essere troppo pesanti, di non essere solidali e di non aver rispetto per gli altri pesi mentre si compie una carneficina in favore solo dei soldi. Principi da rispettare ad ogni costo, anche a quello degli altri. Sono/siamo un branco di perbenisti che di bene fanno/facciamo ben poco, pensano/pensiamo di essere una grande famiglia, ma proprio come le grandi famiglie non manca situazione per imporsi sugli altri. Si rivelano essere tutti quel che negano, e così tutti noi.
"Siamo persone normali, non mostri".
E alla fine a vincere è lo strano, che si rivela essere l'unico umano.
La Comunidad - Intrigo all'ultimo piano (2010) | Le Recensiony
Reviewed by Antonio Emmanuello
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15:00:00
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