Indie #20 | Rassegna di Cinema Indipendente | Capitolo II - Le Recensiony

Nuovo #indie, nuovi spunti di riflessione. La scorsa settimana abbiamo parlato dello sdoganamento dell'omosessualità, questa invece per certi versi affrontiamo la liberalizzazione che sta travolgendo il mondo delle droghe. Capiremo poi perché.

In questo appuntamento ci sono state presentate due pellicole sul tema della fede, da un punto di vista personale per quanto riguarda “Kreuzweg - Le stazioni della fede” di Dietrich Brüggemann, da un punto di vista più sociale per quanto riguarda “Il caso spotlight” di Thomas McCarthy.

Entrambe le pellicole si aprono con le parole di un ecclesiastico, ma da una parte, nel film tedesco, troviamo un prete che sprona i suoi cresimanti ad essere “soldati di Cristo”, ad esporsi per la salvezza degli uomini, mentre dall’altra, troviamo un funzionario cattolico che cerca di insabbiare, minimizzare, mettere a tacere la bufera che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Notiamo subito le prime differenze tra una fede come fine e una fede come mezzo.

Di qui si diramano le trame di un film dinamico per quanto riguarda la pellicola d’oltreoceano, più intima per il più vicino “Kreuzweg”.

La stenuante ricerca del pezzo perfetto per il giornale, porta il gruppo specializzato in inchieste a trovare la storia giusta, ma le difficoltà non sono poche, e al contrario coloro che ne vogliono parlare non sono molti. L’intreccio si articolerà attraverso la composizione di un puzzle fatto di rimandi, di pezzi mancanti, di tasselli occultati. Non mancherà la storia, quella con la “s” maiuscola, a rallentare le ricerche e quel fatidico 11 settembre non toglierà la vita solo alle 2977 vittime, ma farà tardare la giustizia anche verso le vittime di un’altra tragedia, sempre per ironia, di stampo religioso.

D’altro canto Maria, la giovane protagonista di “Kreuzweg” è una ragazzina scombussolata dall’età, che si sente addosso più peso di quello che le aspetta. Lo stesso peso di Gesù che con la croce sulle spalle si reca sul Golgota. E da qui che diparte la via crucis, da cui il titolo, della quattordicenne, che attraverso le tappe, o meglio, le stazioni arriva ad emulare inconsapevolmente Santa Caterina che trovò la redenzione nella santa anoressia. Ben presto l’unico cibo accettato è il corpo del Figlio che grazie alla transustanziazione diviene pane. Ed infine sarà quell’ostia stessa a darle la catarsi di cui aveva bisogno, quella risoluzione che lei aveva promesso a sé stessa, non per trarne un vantaggio personale, ma anzi per sacrificarsi per il bene di altri. Ed è in quel momento che Dio, nel gesto della comunione, accetta il sacrificio e mantiene la promessa che lei sola aveva udito.

Se il secondo film si avvale di un cast di un certo calibro, di una regia movimentata e più all’americana, la prima pellicola è riflessiva anche nelle modalità, nella rappresentazione pacata e misurata, con soli tre effettivi spostamenti, in perfetto stile europeo, o per meglio dire nord-europeo. Difatti sembra di essere a teatro più che al cinema, con questi brevi, ma non brevissimi piani sequenza, riprese continue in cui si nota maggiormente la bravura di attori sconosciuti ai più che mettono in campo una credibilità che forse può sfuggire tra i tagli e i movimenti della macchina da presa.
Talvolta questa veridicità viene cercata attraverso un contatto con il pubblico stesso, ma senza mai abbattere la quarta parete. Abbiamo le figure dei personaggi stagliate bene in primo piano, quasi come se il resto del mondo facesse da cornice. La staticità poi permette una perfetta delimitazione degli spazi e quindi una precisa composizione dell’immagine, immagine che si sposta in tre sole occasioni, catartiche per la vita della protagonista.

Infine le due pellicole sono rappresentazioni non solo della fede, ma delle istituzioni che da essa nascono. Nel primo film la protagonista e la sua famiglia fanno parte di una congregazione limitante, oppressiva agli occhi dei non adepti. Una realtà che rifiuta la musica considerata satanica, il contatto con ambienti che non siano quelli accettati dalla comunità, che spinge i propri fedeli ad un servilismo ed una auto colpevolezza che porta la stessa Maria a farsi carico dei pesi del mondo. In modo analogo, la chiesa che vediamo ne “il caso spotlight” non è una chiesa positiva, ma è un’istituzione fortemente corrotta e manipolatrice, che ha radici ovunque, che professa la verità, ma che non la confessa. Verità che viene finanche rifiutata da alcuni.
In buona sostanza entrambi i film puntano alla medesima cosa: la verità. Da una parte in senso divino, dall’altra in senso umano.

In sintesi: la fede, il credere, è qualcosa che va al di lá degli individui; è l'insieme del pensiero dei più che si astrae divenendo una realtà a sé. Ma come ogni cosa di artificialmente razionale, può subire l'irrazionalità di qualcuno, ma non per questo bisogna condannare la religione tutta, come non condanneremmo la società tutta se una sua parte uccide o ruba. Bisogna invece razionalizzare l'irrazionalità, riportare i perpetratori di una fede negativa ad una realtà umana, e non più divina. Questo significa separare il pensiero dagli atti e l'istituzione dagli individui che la compongono. E quest'ultimi, in quanto umani, vanno giudicati dalla legge umana.

Dunque, tornando alla frase d'apertura:

Se la religione é l'oppio dei popoli, allora legalizziamola.


Indie #20 | Rassegna di Cinema Indipendente | Capitolo II - Le Recensiony Indie #20 | Rassegna di Cinema Indipendente | Capitolo II - Le Recensiony Reviewed by Antonio Emmanuello on 16:00:00 Rating: 5

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